La beneficenza si fa gratis. Perchè devo donare dei soldi per pagare i vostri stipendi? Vergogna! La mangiatoia è finita

(un commento sulla pagina Facebook di Emergency)

Una ricerca di qualche anno fa [1] aveva evidenziato come il proprietario di un’azienda italiana quotata in Borsa guadagnasse annualmente quanto 143 suoi dipendenti.

Si trattava di un dato derivante da una media statistica, perchè l’amministratore delegato di una nota fabbrica italiana di pneumatici aveva guadagnato nel 2011 il corrispettivo del salario medio di ben 877 lavoratori della sua azienda. Una seconda ricerca [2] rilevava che i dirigenti delle aziende profit guadagnavano in media il 70% in più dei loro omologhi non profit.

Usiamo questi dati come introduzione per placare gli animi di quelli che stanno scoprendo in questi giorni (a causa delle polemiche e degli attacchi che il mondo non profit subisce da mesi) che “senza scopo di lucro” non è esattamente sinonimo di “gratis“. Che ci crediate o no, una persona che lavora 35 ore alla settimana in un centro diurno, in un dormitorio o negli uffici di una onlus, a fine mese viene pagato. E lo stesso dicasi per chi quella cooperativa la dirige, occupandosi di dipendenti (magari centinaia), soci, soci-lavoratori, soci-volontari, fatture, bandi regionali e chissà cos’altro.

Nonostante i suoi quarantanni di storia, e nonostante le cooperative sociali siano entrate nell’ordinamento giuridico italiano nel 1991, in questo paese la percezione di un settore votato a finalità civiche o di utilità sociale viene spesso confusa con il volontariato, a sua volta immaginato come un rimando al pauperismo medievale di origine cattolica. Se siete senza fine di lucro, spogliatevi dei vostri averi.

E poco importa che la vostra professione richieda competenza, formazione continua, responsabilità, capacità empatiche e di gestione dello stress. Non me ne frega niente se sei psicologo specializzato in etnopsichiatria. Lavori con i poveri, quindi devi essere povero. Come San Francesco. Anche perchè fai un bel lavoro, dove tutti sono solari e sorridenti, e ti occupi di guardare bambini che corrono felici sui prati e anziani sorridenti esperti di briscola e tresette.

Queste considerazioni, che si inscrivono nel moralismo imbecille che fa da humus creativo per luoghi comuni ben peggiori, hanno trovato recente legittimazione nell’opera di discredito operata a più livelli nei confronti del terzo settore, generalmente definito come “le onlus e le ong” (a dimostrazone di una totale mancanza di consapevolezza dell’argomento). Proprio le mutate condizioni politiche sono state al centro di un incontro aperto svoltosi Sabato 26 Gennaio presso i locali del Con-Carrera di Torino: i temi presentati dai responsabili dei servizi di accoglienza e supporto per adulti e da quelli dei servizi dedicati ai richiedenti e titolari di protezione internazionale hanno mostrato ai partecipanti le sfide e gli ostacoli che siamo chiamati ad affrontare per gli anni a seguire, in un paese che continueremo sempre a rispettare e supportare in collaborazione con le istituzioni di qualunque colore politico. Sono state proposte alcune possibilità (la collaborazione con enti caritatevoli, la creazione di procedure di advocacy), ma soprattutto si è ribadita con forza la necessità di tener fede al nostro patto con la società e con i territori in cui operiamo e a cui sentiamo di appartenere.

Un patto che è stato stipulato da persone solidali per indole che sono però soprattutto professionisti riconosciuti, formati e titolati.

E a questo proposito ci si permetta una riflessione un po’ più ampia, a cui chiunque sarà libero di cucire modifiche o apporre emendamenti: facendo ricorso alle nostre capacità di resilienza, vogliamo conservare l’idea che esistano ancora delle ampie porzioni di popolazione che non si arrendono alle pulsioni primigenie [3] che questo paese sta vomitando da troppo tempo. Quelle persone che stanno ospitando gli sfollati del Cara di Castelnuovo. Quelle che provano a occuparsi della collettività con impegno e contro ogni ostacolo. Quelle che continuano a domandarsi “cosa posso fare?” e quelle che qualcosa stanno già facendo. Solidarietà è una parola malinconica, remota. Profuma di anni ’80 e di modernariato. La solidarietà è azione quotidiana encomiabile e salvifica per chi la riceve e per chi la pone in essere. Però facciamo attenzione, perché in questa doppia valenza risiede un profondo inganno. In certi film americani viene spesso propagandata l’immagine di una solidarietà collettiva spontanea, alimentata dal vicinato o dal quartiere di residenza. La borghesia delle villette con giardino che si stringe intorno alle difficoltà. “Sai John, pensavo di organizzare un barbecue di solidarietà per acquistare le grucce nuove al povero figlio storpio dei Madison”. Ma come, i Madison non possono andare a chiederle all’ASL di competenza, le stampelle?

La solidarietà schematizzata e ridotta a prassi serve solo a supplire alle mancanze di chi dovrebbe occuparsi dei cittadini. Le onlus sono “senza fine di lucro” perché lo Stato deve coprirne interamente i costi. Sono emanazioni dello Stato, dello stesso Stato che adesso le accusa di essere organizzazioni criminali, come fossero enti ad esso estranei. Le ONG che solcavano il mar Mediterraneo lo facevano perché la Guardia Costiera non aveva mezzi sufficienti, ed erano autorizzate a farlo: “i servizi di ricerca e soccorso fanno affidamento su qualsiasi nave per qualsiasi ragione presente nell’area interessata”[4].

Delegare alla solidarietà collettiva la tutela delle fragilità sociali equivale ad ammettere il fallimento dello Stato nel suo ruolo di garante della sicurezza e della dignità dei cittadini. Invece in questo paese anziché ammettere il fallimento si accusano le vittime del fallimento stesso, salvo poi emanare decreti legge “emergenziali”. La sicurezza e la dignità non si ottengono per decreto. Sono diritti che dobbiamo pretendere ogni giorno, prima ancora di alzarci dal letto per andare a svolgere le nostre quotidiane attività lavorative e i nostri quotidiani gesti di solidarietà. Quindi la prossima volta che vi spendete in un sacrosanto e lodevole atto di solidarietà, ricordatevi che non siete la moglie di John. Ricordatevi che siete in Europa, e conservate sempre le ricevute dei vostri gesti di solidarietà. Vi serviranno durante la prossima campagna elettorale, quando vi busseranno alla porta quelli ai quali, per amore della giustizia o senso civico, vi siete dovuti sostituire.

Fabio Codias


[1]  http://www.frontisgovernance.com/attachments/article/315/Studio%20Remunerazioni%202012%20-%20Abstract.pdf

[2]  http://www.sodalitas.it/conoscere/ricerche/4-indagine-sulle-prassi-gestionali-e-retributive-nel-nonprofit

[3]  “Io ero Adolf Hitler, in me erano le pulsioni primigenie volte alla fondazione di un mondo mai visto prima, oltre le stupefacenti immagini di uno stato totalitario, oltre l’orizzonte visibile delle terre e dei mari di questo pianeta chiamato Terra” – Francesco Bellanti: “Conversazione con Adolf Hitler”, www. lulu.com, 2017.