È un momento sospeso. È come stare in una bolla dove il tempo è immobile ed i pensieri fanno più rumore del solito. L’emergenza sanitaria ha costretto ognuno di noi, come persone e come operatori sociali, a cambiare le nostre abitudini sociali e lavorative.

Io mi occupo, fra gli altri, di un progetto Housing First, basato sul principio fondamentale che la casa sia un diritto di tutti e che sia la prima e più efficace risposta al fenomeno delle persone senza dimora. È un approccio innovativo che si affianca e stravolge i modelli adottati finora e che prevede la costruzione di percorsi flessibili, cuciti sui desideri delle persone, nel rispetto dei loro tempi e senza imposizioni.
Arrivando da una esperienza di lavoro nei dormitori, mi ci sono voluti tempo e una buona dose di creatività per destrutturare il mio normale modo di relazionarmi con i beneficiari e l’emergenza del Coronavirus mi ha obbligata a destrutturarmi ulteriormente.
Lo strumento più forte del progetto Housing First è il colloquio con le persone all’interno delle loro case, ma oggi, a causa dell’emergenza sanitaria le visite domiciliari vanno centellinate, gli accompagnamenti educativi sospesi ed i brevi colloqui di monitoraggio telefonico si trasformano in chiacchierate di ore.
Quando le condizioni lo permettono, i colloqui si fanno nei cortili dei palazzi oppure sul balcone, con la persona seduta dall’altro capo della stanza a rispettare le distanze di sicurezza. Dietro al sudore della mascherina si condividono angosce e pensieri e si è costretti a toccare tutto con i guanti, rinunciando al rito del caffè o all’idea di scambiarsi un gesto affettuoso dopo un brutto sfogo emotivo.
Alla fine dei colloqui ci si rende conto della diversità dei bisogni di ogni beneficiario: per alcuni è fondamentale lavorare sulla consapevolezza dei rischi sanitari, spiegando la necessità di rimanere a casa o di procurarsi ed utilizzare sostanze nel modo più sicuro possibile. Per altri è contenere l’impazienza di tornare alla normalità; per altri ancora, al contrario, è necessario ridimensionare il problema affinché sperimentino questa nuova condizione senza vivere con terrore ogni gesto quotidiano.
Fare tutto questo in un progetto come l’Housing First, diventa una faccenda molto delicata soprattutto quando i beneficiari sono persone sole, senza una buona rete familiare, e spesso costretti a gestire una dipendenza. L’isolamento è uno degli aspetti che fa più paura ed è un rischio che esiste a prescindere dal Coronavirus.
Come operatrice è necessario inventarsi un modo nuovo, per ognuno diverso, di approcciarsi ai problemi. Così ti ritrovi a lasciare un biglietto di bentornato e la spesa sul tavolo del signore che finalmente torna a casa dopo un mese di lungodegenza; a condividere canzoni con la signora che ha la passione del canto per distrarla dalle sue crisi di panico; ad inviare un buongiorno ed un pensiero in più al giorno, per controllare che tutto vada ancora bene.
Tutto questo per far capire che ci sei ancora, che non è cambiato niente anche se là fuori è cambiato tutto e che si può lo stesso rimanere vicini anche se non ci si può toccare.

Silvia Argento

“Sguardi oltre lo schermo” è una raccolta di punti di vista di operatori e operatrici di Stranaidea sul lavoro sociale ai tempi del Covid-19. Perchè andrà tutto bene, se andrà bene per tutti